Stato dell’agenda 2030 e ruolo delle imprese

A circa un quarto di secolo dalla sua comparsa, il concetto di sostenibilità continua ad essere controverso. Le difficoltà di applicarne i principi deve far riflettere sulla necessità di utilizzarlo con molta cautela. L’attenzione nei confronti degli investimenti sostenibili e responsabili, nonché la necessità di misurare, gestire e mitigare i rischi ambientali, sociali e di governance è sensibilmente cresciuta all’interno del panorama internazionale ed europeo.

Negli ultimi anni l’attenzione nei confronti degli investimenti sostenibili e responsabili, nonché la necessità di misurare, gestire e mitigare i rischi ambientali, sociali e di governance (ESG – Environmental, Social and Governance) è sensibilmente cresciuta all’interno del panorama internazionale ed europeo.

Esiste infatti un’evidenza scientifica e consolidata sull’insostenibilità del nostro modello di sviluppo e numerose analisi segnalano che alcuni fenomeni fortemente destabilizzanti (cambiamento climatico, migrazione e aumento delle disuguaglianze) si stanno verificando ad una velocità e intensità superiori a quelle previste solo alcuni anni fa. Alla base della necessità di integrare temi ambientali, sociali e di buon governo societario delle scelte di investimento vi sono considerazioni legate alla riduzione dei rischi e alla creazione di valore nel lungo termine.

A livello globale l’accordo del 2015 sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (SDGs) e l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici hanno dato un maggiore impulso politico alla transizione verso un’economia sostenibile e hanno contribuito a una crescente consapevolezza dell’importanza strategica delle questioni di sostenibilità tra le imprese e gli investitori.

A livello di UE il Piano d’azione sulla finanza sostenibile del 2018 e il Green Deal europeo del 2019 hanno innalzato notevolmente l’ambizione politica dell’Europa della progressione più rapida possibile verso un sistema economico e finanziario sostenibile.

La “svolta” europea per lo sviluppo sostenibile, anche come strategia di risposta alla crisi da COVID-19, rappresenta una novità straordinariamente positiva e tutt’altro che scontata. La Commissione europea nell’indicare le politiche da mettere in campo per reagire alla crisi indotta dal COVID-19 per costruire un’Europa “più sostenibile, più resiliente e più equa”, ha ribadito il ruolo sempre più importante dell’Agenda 2030, da tenere in considerazione anche nel Next Generation EU nei piani i Piani nazionali di ripresa e resilienza.

Il progresso verso l’attuazione degli SDGs è evidente da molti punti di vista, ma nonostante l’ampiezza delle azioni messe in campo, il cambio di direzione verso uno sviluppo sostenibile sta avvenendo a una velocità e con un’intensità insufficiente. Rispetto al 2015 oggi il quadro globale è peggiore, con tensioni e conflitti crescenti. I prossimi dieci anni saranno decisivi per segnare il presente e il futuro dell’umanità e del pianeta.

Nell’attuale scenario un ruolo fondamentale è stato svolto anche dalle aziende e in particolare da quelle che hanno pubblicato la loro dichiarazione non finanziaria (DNF).

Dall’analisi condotta da Nedcommunity e KPMG, alla sua terza edizione, emerge un notevole incremento, insieme con altri strumenti, dell’utilizzo degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite come framework per orientare le proprie priorità, strategie e obiettivi futuri. L’applicazione dei 17 Goals dell’Agenda, ovviamente differenziati per settore, ha aiutato le aziende ad adottare un sempre maggiore atteggiamento responsabile nei confronti del mercato, dell’ambiente, dei dipendenti, clienti e fornitori con l’obiettivo di ottenere un «successo sostenibile» e benefici durevoli a vantaggio, oltre che degli azionisti, anche di tutti gli stakeholder coinvolti nel processo di transizione verso un nuovo modello di economia sostenibile.

L’approfondimento

A circa un quarto di secolo dalla sua comparsa, il concetto di sostenibilità continua ad essere controverso. Il successo eccezionale che l’utilizzo del termine ha avuto in questi ultimi anni, ma le difficoltà di applicarne i principi a contesti quasi totalmente artificiali come quelli urbani o ad alcuni processi produttivi o peggio ancora, se consideriamo il tema delle disuguaglianze provocate da una non equa distribuzione della ricchezza e utilizzo delle risorse disponibili, deve far riflettere sulla necessità di utilizzarlo con molta cautela. La prospettiva della sostenibilità sembra sempre più orientata a modificare o quantomeno a mettere in discussione gli attuali modelli di crescita socioeconomica che non possono ancora dirsi “sostenibili”.

Ci troviamo di fronte alla necessità di dover difendere l’ambiente e il progresso con un approccio nuovo volto a salvaguardare il mercato incoraggiando le imprese a utilizzare al meglio le risorse naturali sempre più scarse e innescare una maggiore efficienza produttiva. La concorrenza può e deve favorire il processo di transizione verso un modello di crescita sostenibile sotto il profilo ambientale, sociale ed economico con una migliore allocazione dei fattori produttivi salvaguardando le aziende più virtuose.

Il rischio di trovarsi di fronte al collasso delle condizioni economiche, sociali ed ambientali non nasce certo con la crisi pandemica ma se ne discute da molti anni e già nel 1972 il rapporto presentato al Club di Roma “Limits to Growth” indicava nella crescita della popolazione, nell’utilizzo di sistemi produttivi lineari, nell’inquinamento delle atmosfere e nello sfruttamento/non ripristino delle risorse naturali le principali cause e responsabilità.

A livello globale, fra gli aspetti più dirompenti per la lotta al cambiamento climatico e del processo di crescente consapevolezza dell’importanza strategica delle questioni di sostenibilità, tra le imprese e gli investitori, sono da menzionare da una parte l’Accordo di Parigi, sottoscritto Il 12 dicembre 2015 da 197 stati con l’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura media mondiale al di sotto dei 2 °C, compiendo tutti gli sforzi per limitarlo al di sotto di 1,5 °C rispetto al periodo preindustriale, e dall’altra il disegno da parte delle Nazioni Unite e di una serie di associazioni globali dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Approvata il 25 settembre del 2015 dall’Assemblea Generale dell’ONU, l’Agenda comprende 17 obiettivi (sustainable development goals) e 169 target molto precisi, estremamente concreti, che a loro volta sono misurati con una grande massa di indicatori: oltre 240 concordati in sede ONU, ai quali si aggiungono quelli scelti a livello continentale o nazionale, per esempio dall’Eurostat e dall’Istat.

L’agenda 2030 nasce come un’evoluzione dei Millennium Development Goals (MDGs), gli otto Obiettivi di sviluppo decisi dall’Assemblea dell’ONU nel 2000 e validi per il quindicennio 2001/2015, dopo un lungo e complesso processo di negoziazione. All’inizio gli SDGs sono accolti con un certo scetticismo per l’elevato dettaglio delle misurazioni, rileveranno invece alcune caratteristiche importanti che ne affermeranno pienamente l’applicazione: innanzitutto, una valenza non solo per i Paesi in via di sviluppo ma per tutto il mondo nella logica di partecipazione allo “sviluppo sostenibile”, in secondo luogo per la preparazione, il coinvolgimento e ampio dibattito al quale hanno partecipato non solo i governi, ma anche le organizzazioni non governative e i rappresentanti del mondo imprenditoriale.

L’Agenda si basa su 5 concetti chiave, le 5 «P» dello Sviluppo Sostenibile: Persone con l’obiettivo di eliminarne fame e povertà in tutte le forme e garantire dignità e uguaglianza; Prosperità per garantire vite prospere e piene in armonia con la natura; Pace volta a promuovere società pacifiche, giuste e inclusive; Partnership per implementare l’Agenda attraverso solide relazioni; e infine Pianeta, per proteggere le risorse naturali e il clima per le generazioni future; temi che proprio per la loro trasversalità chiamano tutte le componenti della società a mobilitarsi per la loro realizzazione.

Per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda non bastano l’impegno dei governi e delle organizzazioni internazionali, serve anche quello del settore privato, della società civile, dei singoli cittadini. Sulla base di questo assunto trova fondamento nel 2016 l’idea di creare in Italia una rete per realizzare l’Agenda 2030 con l’entusiasmo di mobilitarsi e di lavorare insieme.

Per far crescere la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030, favorire lo sviluppo di una cultura della sostenibilità e per realizzare i relativi obiettivi e target, il 3 febbraio 2016 si costituisce l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS)[1], alla quale parteciperanno le principali organizzazioni della società civile italiana (oggi 292). L’obiettivo dell’alleanza sarà di contribuire alla progettazione di politiche che portino l’Italia sul sentiero dello sviluppo sostenibile, attraverso un dialogo continuo con i diversi stakeholder. I Gruppi di lavoro costituiti da centinaia di esperti delle associazioni aderenti, si confrontano costantemente per valutare l’impatto dei provvedimenti elaborati dal Governo alla luce degli Obiettivi di sviluppo sostenibile ed elaborare proposte concrete di politiche da sottoporre ai vertici[2].

Dopo l’approvazione dell’Agenda 2030, l’Europa con il suo più grande alleato, la finanza, si è impegnata in significative iniziative come la sempre maggiore diffusione di Direttive volte a favorire, nei paesi dell’Unione, lo sviluppo della sostenibilità: decreti legislativi e leggi per la rendicontazione delle informazioni non finanziarie (in Italia il d.lgs. 254/16), il piano d’azione sulla finanza sostenibile del 2018, il Green Deal europeo del 2019, l’adozione di un Regolamento sulla Tassonomia (nuovi obblighi di comunicazione di allineamento per le attività ecosostenibili), il Regolamento europeo 2019/2088 (Sustainable Finance Disclosure Regulation) con l’obiettivo di fornire una definizione condivisa del termine “sostenibilità” per gli investimenti finanziari e disporre una serie di obblighi di trasparenza nei confronti degli operatori che li gestiscono. Strumenti tutti che impongono ad alcune tipologie di soggetti obblighi di informativa sulla sostenibilità e creano un impatto diretto sulle informazioni che dovranno ottenere dalle società nelle quali sono effettuati gli investimenti.

Anche molte associazioni, organizzazioni e imprese si sono attivate per promuovere il cambiamento degli standard globali di rendicontazione e renderli sempre più coerenti con gli SDGs e importanti settori produttivi (moda, minerario) si sono mossi verso la sottoscrizione di protocolli atti a tutelare alcuni degli aspetti dell’azienda come per esempio evitare la violazione dei diritti umani, ridurre l’impatto ambientale delle proprie attività e migliorare la propria governance.

Tra i numerosi sviluppi registrati si annoverano: una dichiarazione d’intenti relativa a una più stretta collaborazione da parte di cinque iniziative internazionali di comunicazione sulla sostenibilità, un’iniziativa del Forum economico mondiale volta a sviluppare indicatori comuni in materia di comunicazione e consultazioni pubbliche (vedi a titolo di esempio l’International Financial Reporting Standards Foundation) per l’estensione della comunicazione di informazioni di carattere non finanziario. Si aggiungono anche i lavori dell’European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG)[3] che, in risposta al Piano d’Azione per finanziare la crescita sostenibile, si è impegnato a studiare e promuovere strumenti per il miglioramento delle comunicazioni sui temi di sostenibilità da parte delle aziende.

Purtroppo nella maggior parte dei casi si tratta ancora di orientamenti generali non prescrittivi, che includono esempi di divulgazione per ciascun settore di comunicazione. Il fatto che gli orientamenti siano facoltativi lascia alle imprese troppa libertà di applicazione a seconda di ciò che è ritenuto opportuno, non consentendo la comparabilità delle informazioni comunicate dalle imprese e/o la divulgazione delle informazioni che gli stakeholder ritengono d’interesse.

In questi anni sono accadute molte cose e non si può dire che il mondo e l’Europa non abbiano avviato iniziative per lo sviluppo sostenibile. Dopo l’Accordo di Parigi e l’impegno, seppur insufficiente, contro la crisi climatica, si è però anche assistito alla frenata alla cooperazione multilaterale imposta dall’amministrazione di Donald Trump, e non solo, che ha notevolmente rallentato il processo. Se l’insorgere della pandemia ha reso tutto ancora più difficile, peggiorando la situazione economica e sociale globale, aumentando la povertà e le disuguaglianze si intravedono però anche nuove speranze.

La pandemia da COVID­19 ha contribuito a far comprendere che non si può tornare al “business as usual” e che bisogna costruire nuovi equilibri per l’umanità e per il Pianeta. La collaborazione internazionale in materia di sanità, fra difficolta e buoni risultati, ha comunque reso evidente il potenziale dell’unione delle forze ponendo le basi per una maggiore collaborazione. Il rapido adattamento a nuove modalità di lavoro e di apprendimento, pur con i molti problemi, ha accelerato cambiamenti nella vita quotidiana verso nuovi comportamenti e speranze di ridisegno delle città del futuro meno inquinanti e più a misura d’uomo. Infine con l’avvento della nuova amministrazione americana si è ritrovata una collaborazione internazionale senza le quale non si poteva pensare di realizzare la governance globale indispensabile per affrontare le sfide del futuro.

La migliore collaborazione fra gli Stati e gli impegni per arrivare a emissioni zero intorno alla metà del secolo attribuiscono all’Agenda 2030, fatta di azioni specifiche e traguardi ravvicinati, un ruolo sempre più centrale anche in considerazione dell’azione della Commissione Europea che ha posto gli SDGs al centro del suo programma e che a questi ha indirizzato i piani di ripresa dalla pandemia, a cominciare dal Next Generation EU. La mobilitazione sull’Agenda 2030 coinvolge sempre di più istituzioni, persone, la società civile, le imprese e soprattutto i piani dei governi verso un processo di resilienza trasformativa.

La pandemia, nello stimolare la capacità di immaginare un domani basato su una più intensa integrazione europea, ha creato le condizioni per avviare uno strumento di accesso comunitario al mercato mobiliare, finanziando il Next Generation EU con lo scopo di far fronte alla crisi sociale ed economica. Con i PNRR presentatati dai diversi paesi il 37% dei fondi saranno destinati alla transizione verde, confermando per tutto il resto della spesa, la necessità di dimostrare il rispetto del principio di non nuocere all’ambiente e tra queste almeno il 20% delle risorse saranno da indirizzare verso la transizione digitale, driver fondamentale della transizione ecologica.

In questo scenario, non possono non essere segnalati il richiamo esplicito all’Agenda 2030, da parte del Governo italiano nella presidenza del G20, e il primo riscontro positivo da parte del Senato per l’inserimento in Costituzione del riferimento allo “sviluppo sostenibile anche nell’interesse delle future generazioni” principio fondamentale alla base dell’applicazione di tutti gli SDGs dell’Agenda e numerosi altri programmi nella direzione della sostenibilità.

Qual è lo stato effettivo dell’Unione Europea e dell’Italia rispetto ai 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile e quale ruolo stanno esercitando le aziende in particolare nel nostro paese? L’ultimo aggiornamento degli indicatori al 2019, integrato con alcuni rapporti sui territori del dicembre 2020[4], evidenziano un progressivo miglioramento della situazione europea verso il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, accompagnato peraltro da una varietà di situazioni dei diversi Paesi europei.

Tra il 2018 e il 2019, l’Europa ha mostrato: un miglioramento per 8 Obiettivi: povertà; uguaglianza di genere; sistema energetico; condizione economica e occupazionale; condizioni delle città; modelli sostenibili di produzione e consumo; lotta ai cambiamenti climatici; qualità della governance, pace, giustizia ed istituzioni solide; e una sostanziale stabilità per i restanti[5]: alimentazione e agricoltura sostenibile; salute; istruzione; acque e strutture igienico-sanitarie; innovazione; disuguaglianze; condizioni degli ecosistemi terrestri; cooperazione internazionale, con nessun peggioramenti in alcun Goal.

Rispetto al 2010, la situazione è in miglioramento per 12 Obiettivi (povertà; alimentazione e agricoltura sostenibile; salute; educazione; uguaglianza di genere; sistema energetico; condizione economica e occupazionale; innovazione; condizioni delle città; modelli sostenibili di produzione e di consumo; lotta al cambiamento climatico; qualità della governance, pace, giustizia e istituzioni solide), in peggioramento per 3 Obiettivi (disuguaglianze; condizioni degli ecosistemi terrestri; cooperazione internazionale) e di sostanziale stabilità per il resto (acque e strutture igienico-sanitarie).

I risultati degli indici compositi relativi alla media europea nascondono, per gran parte degli Obiettivi, situazioni molto differenziate tra gli Stati membri. Per questo ASviS, ha condotto un’approfondita analisi delle performance relative ai 28 Paesi che prende in considerazione le distanze misurate dagli indici compositi. Attraverso l’uso di tali strumenti, che si basano su 105 indicatori elementari prodotti dall’Istat, o da fonti la cui validità è stata oggetto di attenta analisi, gli indicatori elaborati dall’ASviS[6] mostrano che l’l’Italia, tra il 2018 e il 2019 era riuscita a migliorare per alcuni obiettivi mentre i primi dati disponibili per il 2020 mostrano un percorso sempre più difficile.

Nel 2020 la crisi ha inciso negativamente su povertà, alimentazione, salute, istruzione, parità di genere, occupazione, innovazione, disuguaglianze, partnership, mentre sono migliorati i dati relativi all’economia circolare, la qualità dell’aria e i reati.

Se, come abbiamo visto, il mondo finanziario ha accelerato lo sviluppo di strumenti di valutazione delle aziende a lungo termine, anche le imprese hanno cercato sempre più di integrare gli obiettivi dell’Agenda nella loro informativa. Anche se ancora, numerosi elementi provano che molte imprese non divulgano adeguate informazioni di carattere non finanziario[7] e molte sono irrilevanti e non confrontabili ai fini dell’impatto dell’impresa sullo sviluppo sostenibile e i risultati conseguibili, si è confidenti che i nuovi strumenti allo studio, e una maggiore responsabilizzazione ne favoriranno una sempre più corretta applicazione.

In particolare alcuni portatori di interessi sostengono che, per poter garantire una corretta interpretazione delle informazioni, saranno necessari una maggiore uniformazione dell’informativa, un utilizzo sempre più spinto della digitalizzazione, e un ampliamento delle società soggette alla comunicazione delle informazioni non finanziarie in modo sempre più integrato con quelle finanziarie. Al riguardo è allo studio una nuova direttiva o quadro di riferimento che amplierà il campo di applicazione (esempio tutte le società quotate e le grandi non quotate) e permetterà alle società di minore dimensione di predisporre una propria informativa semplificata e inoltre si stanno anche analizzando modalità e strumenti per valutare complessivamente e in modo integrato le informazioni comunicate dalle imprese favorendo la loro gestione nella relazione sulla gestione.

L’estensione del campo di applicazione a tutte le società quotate in borsa potrebbe essere molto importante ai fini della tutela degli investitori, data la crescente pertinenza dei rischi connessi alla sostenibilità e potrebbe anche risultare necessaria affinché gli operatori sui mercati finanziari ottengano da tutte le società partecipate le informazioni che permettono loro di assolvere gli obblighi di informativa in materia di sostenibilità evitando di escludere dai portafogli di investimento le società quotate di minori dimensioni perché non comunicano le informazioni necessarie.

Relativamente invece alle aziende che hanno l’obbligo della DNF, sulla base dei risultati dell’ultima ricerca condotta da Nedcommunity e KPMG nel 2020[8], sulla base dell’analisi di un panel di 200 società, emerge che ben 114 aziende del campione (il 57% del totale, con un incremento considerevole dell’88% rispetto al 2017) hanno preso in considerazione l’impatto che il proprio business ha sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs).

Fra le aziende che citano i 17 Obiettivi, è in forte crescita il numero di casi in cui è presente un collegamento con il processo di definizione della materialità e degli aspetti rilevanti, processo che ora interessa il 54% delle aziende, mentre nel 61% dei casi sono definiti specifici obiettivi interni all’azienda per contribuire al raggiungimento di uno o più SDGs.

Dall’analisi di dettaglio delle dichiarazioni è possibile osservare come l’89% delle aziende che cita gli SDGs svolge anche un esercizio di prioritizzazione dei 17 Obiettivi al fine di indentificare quelli più inerenti al proprio business su cui concentrare i propri sforzi. In particolare tra gli SDGs citati con maggiore frequenza è possibile identificare gli obiettivi di natura economica per incentivare una crescita inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutti (SDG 8) e per costruire un’infrastruttura resiliente atta a promuovere l’innovazione e una industrializzazione equa, responsabile e sostenibile (SDG 9), così come promuovere il consumo responsabile (SDG 12) e promuovere azioni, a tutti i livelli, per combattere il cambiamento climatico (SDG 13).

Approfondendo l’analisi anche dal punto di vista dei singoli settori, emergono alcune specificità settoriali nella prioritizzazione degli SDGs; se per il settore finanziario è ancora secondaria la rilevanza delle tematiche ambientali a fronte di una maggiore predilezione per gli obiettivi sociali ed economici, in linea con quanto ci si potesse attendere viste le caratteristiche del settore, emergono invece, insieme a Energy&Utilities, variazioni maggiori, nell’ordine di prioritizzazione degli Obiettivi, che hanno interessato l’Educazione (SDG4) nel settore finanziario (+4 posizioni rispetto al 2017) e Climate action (SDG13) nel settore Energy&Utilities (in crescita dalla quinta alla prima posizione).

In ogni caso è possibile affermare che gli obiettivi dell’agenda assumono sempre più una rilevanza strategica e sempre di più è necessario il coinvolgimento del management per diffondere la cultura e l’awareness a tutti i livelli dell’azienda, implementando team di lavoro interfunzionali in grado di sviluppare solidi business case sugli SDGs e approfondimenti sui legami tra il business e i diversi obiettivi.

Studi autorevoli[9] sottolineano l’importanza di modello di analisi e prioritizzazione degli obiettivi, per identificarne un panel sul quale focalizzarsi; tali analisi hanno anche lo scopo di definire le metriche di valutazione, gli strumenti di raccolta dei dati e gli obiettivi di performance che si vogliono raggiungere e adeguati sistemi di misurazione degli stessi. Comunicare in modo trasparente e condiviso le proprie azioni e i risultati ottenuti, la chiave del successo per un confronto aperto nel processo di transizione verso un modello di sviluppo più sostenibile.

 

[1]Nata Su iniziativa della Fondazione Unipolis e dell’Università di Roma “Tor Vergata”, si pone l’obiettivo di far crescere nella società italiana, nei soggetti economici e nelle istituzioni la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030 per mobilitarli alla realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

[2] Tra le principali pubblicazioni dell’Alleanza si segnalano: il Rapporto ASviS, pubblicato con cadenza annuale, che fornisce un’analisi sullo stato di avanzamento del nostro Paese rispetto all’attuazione dell’Agenda 2030 e ai 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile e un quadro organico di raccomandazioni di policy per influenzare le strategie e le attività del Governo, il Rapporto “La Legge di Bilancio e lo sviluppo sostenibile”, pubblicazione annuale che esamina i provvedimenti contenuti nella Legge di Bilancio alla luce dei 17 Goals , valutandone la coerenza rispetto alle azioni contenute nei 169 Target. Di fronte alla crisi pandemica e alla necessita di valutare le conseguenze della crisi sulle diverse dimensioni dello sviluppo sostenibile, ASviS ha redatto una analisi dei Decreti varati dal Governo durante la Pandemia da Covid-19, che ha consentito al governo anche di meglio indirizzare le proprie azioni.

[3] EFRAG Organizzazione privata costituita nel 2001 con sede a Bruxelles con la missione di fornire consulenza tecnica alla Commissione europea sull’applicazione degli IAS in Europa, di partecipare ai lavori dello IASB, di coordinare nell’UE l’elaborazione delle interpretazioni degli IAS. L’EFRAG opera con due strutture: il TEG (Technical Expert Group), gruppo ristretto di esperti internazionali (sono presenti anche osservatori della Commissione europea, dello IAS e del CESR) e un Supervisory Board of European Organizations per garantire rappresentatività e autorità alle decisioni.

[4] Fonte ASviS: Rapporto ASviS PNRR e legge di bilancio 2021

[5] Non è stato possibile calcolare i dati per un Obiettivo, il 14 “Vita sott’acqua”, per mancanza di dati.

[6] Rapporto ASviS 2020: l’Italia e gli obiettivi di sviluppo sostenibile

[7] RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO E AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO sulle clausole di riesame o revisione delle direttive 2013/34/UE, 2014/95/UE e 2013/50/UE, Bruxelles, 21.4.2021

[8] Informativa extra finanziaria: da Compliance a Governance strategica

[9] KPMG International «How to report on SDGs»

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