Buoni propositi, vecchie e nuove sfide per il factoring nel 2023

Gli editoriali dell’ultima parte dell’anno sono tradizionalmente dedicati ai bilanci di ciò che è stato fatto e ai buoni propositi per il nuovo anno

In questo numero di Fact&News Diego Tavecchia dà conto della recente, positiva evoluzione del mercato del factoring, pur in un contesto generale complessivamente di grande difficoltà, e si presentano le previsioni per il prossimo anno, che sono all’insegna di un moderato ottimismo, corroborato dal fatto che l’esperienza passata insegna che il factoring mantiene la propria validità anche nei momenti di economia in flessione.

Uno spazio importante è dedicato anche, grazie all’articolo di Nicoletta Burini, all’agenda legislativa e regolamentare per il 2023. Al riguardo esistono margini di miglioramento significativi, relativi soprattutto alla necessità, ormai davvero non prorogabile, di eliminare vincoli antichi e procedure obsolete, specie nel campo dell’acquisto dei crediti vantati verso la PA (ma non solo!) che ostacolano l’ordinata gestione del capitale circolante da parte delle imprese.

Infine, vengono presentate, a cura di Luca Olivieri, alcune riflessioni di un gruppo di lavoro associativo sul tema della tutela degli attivi di bilancio del factor attraverso il monitoraggio dei rischi di credito, destinato a esprimere sempre maggiore rilevanza in futuro, anche in relazione alla sempre viva e crescente attenzione delle autorità di controllo al rischio di credito delle banche e degli intermediari finanziari.

All’orizzonte del mercato del factoring nel 2023 permangono anche le sfide della sostenibilità, della trasformazione digitale e della reazione alla crisi, che interessano egualmente gli operatori del settore e la relativa clientela.

Aggiungo, infine, un ultimo punto di attenzione, che è destinato forse a svolgere un ruolo di rilievo in prospettiva nel sistema bancario italiano, sempre alla ricerca di soluzioni istituzionali e organizzative efficienti (leggi cost saving), adeguate a sostenere modelli di business più efficaci nell’arena competitiva (leggi in grado di assicurare una “differenza” rispetto ai concorrenti).

Mi riferisco al trade-off tra integrazione e differenziazione dell’attività di factoring nell’ambito del gruppo bancario. Come è noto (il tema non è certo nuovo, ma ogni tanto ricordarlo non guasta), l’integrazione del factoring nell’offerta bancaria può minimizzare i costi e ridurre la complessità organizzativa, ma al tempo stesso può ridurre l’efficacia competitiva, in virtù dell’offerta di un factoring “near” to banking.

La differenziazione del factoring rispetto ai tradizionali servizi di finanziamento bancario massimizza dal canto suo l’efficacia competitiva ma può produrre ridondanze organizzative e gestionali e dunque costi indesiderati. Si potrebbe concludere che ogni situazione è un caso a sé, e dunque il trade-off va governato caso per caso, e ciò è probabilmente vero. È anche vero, però, che la formula istituzionale della società specializzata (banca o intermediario finanziario non importa) si è rivelata nel tempo vincente sul mercato, rispetto ad altre soluzioni (salvo casi particolari, anche molto significativi).

Ciò può funzionare anche oggi a patto che l’organizzazione sia sufficientemente “ambidestra”, cioè in grado di coniugare efficienza operativa conseguente all’integrazione ed efficacia competitiva, nonché capacità di innovare, proprie della differenziazione.

Se funziona, perché cambiare? Come diceva, forse per primo, un presidente degli US un paio di secoli fa, i fatti sono argomenti testardi.