Fausto Galmarini illustra le sfide recenti e future per il factoring

Fausto Galmarini è Responsabile dei Rapporti Istituzionali di Banca Sistema e Presidente di Assifact, nonché Consigliere di Amministrazione di ABI e Vicepresidente di EUFederation for the Factoring and Commercial Finance Industry.
Lo abbiamo incontrato per riflettere sul mercato del factoring in Italia e in Europa, alla luce degli effetti della pandemia e delle prospettive per la ripresa

In questa fase storica complicata, che si è distinta per l’impatto drammatico che la pandemia ha avuto sull’economia mondiale, quali sono stati i trend del mercato del factoring in Italia e in Europa?

Sulla drammaticità dell’impatto della pandemia purtroppo non ci sono dubbi. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, il PIL mondiale è calato del 3,3% nel 2020 e l’area euro ha fatto ancora peggio: ben -6,6% ci dice Banca d’Italia. Stiamo parlando della più forte contrazione dell’economia dalla Seconda Guerra Mondiale. L’Italia è fra i Paesi maggiormente colpiti: sulla base dei dati ISTAT  il nostro PIL 2020 è diminuito del 8,9% rispetto al 2019. E la tendenza negativa si conferma anche nel primo trimestre di quest’anno, mentre segnali incoraggianti arrivano per i mesi successivi, per cui si stima che il PIL italiano 2021 mostrerà una crescita non inferiore al 5%, come sostenuto anche dal Ministro dell’Economia durante la recente assemblea ABI.

Con un quadro macroeconomico globale estremamente critico, il mercato del factoring ha risentito del calo di fatturato registrato dalle imprese.

Per quanto concerne l’Italia, la produzione industriale ha in effetti registrato nel 2020 una contrazione pesantissima, -10,9% secondo stime di Banca d’Italia. Il factoring, dopo un decennio di robusta crescita in cui il volume d’affari è raddoppiato, nel 2020 ha mostrato un calo del 10,83%. Solo le operazioni riconducibili alla Supply Chain Finance, pari circa al 10% del totale, hanno continuato a rilevare tassi di sviluppo positivi.
Venendo all’Europa, nel 2020 il mercato del factoring ha segnalato un decremento dei volumi del 6,8% secondo le rilevazioni di Factors Chain International, quindi in linea con il decremento del PIL.  In quasi tutti i paesi europei gli andamenti sono negativi, con la Francia che perde l’8% del turnover, il Regno Unito il 17% e la Turchia addirittura il 25%. Minori le perdite di Germania e Spagna, rispettivamente dello 0,2% e del 2%.


 

Come hanno reagito i governi europei alla crisi e quale tipo di supporto hanno dato alle imprese, anche le medio-piccole, per attraversare questo periodo difficile?

Mi sembra opportuno premettere che, a livello di Unione Europea, sono state introdotte misure straordinarie, che hanno contribuito significativamente a contrastare le ricadute economiche della crisi sanitaria. Penso per esempio al PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme) posto in essere dalla BCE per l’acquisto di titoli del settore pubblico e privato fino a un ammontare di 1.850 miliardi di euro, con lo scopo di ridurre i costi del finanziamento e di incrementare il credito all’economia reale nell’area dell’euro. E penso alle operazioni di rifinanziamento a più lungo termine, concesse sempre dalla BCE, le cosiddette PELTRO (Pandemic Emergency Long Term Refinancing Operations), per sostenere la liquidità del sistema finanziario.  Riducendo i tassi la BCE ha reso più facile per individui e imprese ottenere fondi in prestito e, al contempo, ha consentito di sostenere la spesa e gli investimenti. Anche l’EBA è intervenuta emanando specifiche linee guida per i crediti oggetto di moratoria legislativa o non legislativa valide sino al 30 giugno 2021, volte a mitigarne gli effetti segnaletici. Questi interventi hanno permesso alle banche e agli intermediari di non far venir meno il sostegno all’economia reale colpita duramente dalla pandemia.

I governi dei singoli stati europei hanno a loro volta adottato provvedimenti straordinari che hanno fortemente limitato i danni della recessione.

Con riguardo ai principali paesi dell’area euro, il governo francese ha destinato circa il 5,5% del PIL alle risorse per far fronte alla crisi. Stiamo parlando di una cifra importante, pari a 135 miliardi di euro. Inoltre, ha predisposto un pacchetto di garanzie statali ai prestiti bancari di 315 miliardi di euro, quasi il 13% del PIL. Le principali misure adottate prevedono, oltre a interventi di tipo sanitario, la dilazione del pagamento di imposte, affitti e bollette per microimprese e PMI in difficoltà, e l’entrata dello Stato nel capitale azionario o la nazionalizzazione delle imprese in crisi.
In Germania, il governo ha stanziato fondi specifici per un totale di 286 miliardi di euro. Fra le misure adottate vi è l’aumento dei sussidi per i contratti di solidarietà e l’erogazione di sovvenzioni a fondo perduto per 50 miliardi di euro a piccole unità produttive. Inoltre, si è impegnato a fornire garanzie pubbliche a imprese di qualsiasi dimensione per 820 miliardi di euro, l’equivalente, mutatis mutandis, di quanto sta facendo il governo italiano attraverso Cassa Depositi e Prestiti, anche se per importi inferiori. Infine, è stato previsto un taglio temporaneo dell’Iva e, per evitare l’acquisizione straniera di aziende strategiche, è stato rafforzato il diritto di veto da parte dello Stato.
L’Italia, con il Decreto Liquidità e il Cura Italia, ha messo a disposizione risorse per 470 miliardi di euro. I prestiti garantiti dallo Stato sono pari al 26,4% del PIL.

Secondo il Centro Studi di Confindustria, il valore delle misure destinate alle imprese nell’ambito del regime temporaneo sugli aiuti di Stato è stimabile in Germania in 28,9 punti del PIL 2019, in Italia in 16,9 punti e in Francia in 13,7 punti.

Dal punto di vista del factoring, le misure che il governo italiano ha realizzato sono state sufficienti a sostenere le imprese e il factoring? E quali possono essere gli obiettivi che ancora non sono stati perseguiti a tal fine?

Vorrei innanzi tutto evidenziare come, nella fase più acuta della crisi e senza alcun soccorso governativo, l’industria del factoring è stata vicina concretamente alle imprese, fornendo il proprio aiuto attraverso dilazioni di pagamento dei debiti commerciali acquistati e tutelando la liquidità dei debitori ceduti per oltre 2 miliardi di euro.
L’estensione della garanzia statale al factoring è stata, infatti, consentita solo nel mese di luglio 2020, ma esclusivamente per le cessioni pro solvendo che rappresentano poco più del 20% dei volumi intermediati. Le modalità di applicazione e la durata, pensate più per i prestiti bancari, nonché l’esclusione fino a dicembre 2020 delle cessioni pro soluto, attività “core” nel factoring, non hanno peraltro portato i Factor, salvo poche eccezioni, a far ricorso alla garanzia statale.

Il settore del factoring ha saputo camminare al fianco delle imprese anche durante questa grave situazione emergenziale, svolgendo il proprio ruolo di sostegno del capitale circolante e, in generale, di supporto della ripresa dell’economia reale, pure con nuove soluzioni, adattandosi al mutato contesto e alle esigenze specifiche della clientela maturate nel corso della pandemia, e dimostrando la propria valenza come strumento asset-based, flessibile e a basso rischio.

Nel corso degli ultimi mesi si assiste finalmente a un miglioramento nella dinamica del fatturato delle imprese, che sta alimentando la domanda di strumenti finanziari per la gestione del capitale circolante, tra i quali appunto il factoring, ove necessario assistito dagli strumenti di garanzia pubblica oggi disponibili. L’assetto finanziario delle imprese evidenzia ulteriore spazio di intervento per il factoring, se teniamo conto che i crediti commerciali a fine 2020 erano superiori a 550 miliardi di euro, pari al 28% delle attività finanziarie presenti nel bilancio delle imprese.
Nell’ambito del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) il factoring è in grado di svolgere un ruolo di primo piano, affiancando le imprese nel processo di crescita, innovazione e transizione ecologica.

È necessario, però, che il contesto normativo non penalizzi il settore, caratterizzato da una bassa rischiosità, e faciliti la cessione dei crediti, dando così impulso all’azione di rilancio. Occorre, inoltre, che il legislatore intervenga, semplificando le modalità di perfezionamento della cessione, rimuovendo i vincoli esistenti ed evitando di introdurre provvedimenti che ostacolino la cessione dei crediti, soprattutto con riguardo alle transazioni con la pubblica amministrazione.

Lo sviluppo e l’adozione di nuove tecnologie, in grado di digitalizzare, integrare e snellire i processi di gestione del ciclo attivo e passivo delle imprese e degli enti pubblici, potranno aprire nuovi scenari di sviluppo nei servizi offerti dagli operatori del factoring, a beneficio di fornitori e acquirenti nelle molteplici catene del valore che contraddistinguono l’economia italiana, a patto però che il legislatore adotti un approccio cooperativo e attento alle esigenze delle imprese. Infine, vorrei auspicare una maggiore attenzione da parte delle Autorità di Vigilanza, i cui orientamenti comportano sovente vincoli all’operatività e requisiti patrimoniali che non tengono conto della natura dei crediti intermediati (commerciali e non finanziari) e della più bassa rischiosità del settore rispetto ai prestiti bancari.


 

In un quadro macroeconomico ampiamente influenzato dalla pandemia, il primo gennaio è entrata in vigore la nuova definizione di default introdotta dall’Autorità Bancaria Europea. Tale nuova disciplina europea si combina con le norme in materia di svalutazione minima degli attivi deteriorati in funzione del tempo (“calendar provisioning”). Quali sono gli elementi di novità e di criticità di tali normative rispetto all’attività di factoring, anche in relazione agli effetti della pandemia?

Provo, innanzi tutto, a riassumere brevemente ciò che prevede la nuova DoD, dall’inglese “definition of default”. Per effetto della nuova normativa viene considerato insolvente ogni soggetto che presenti, per 90 giorni consecutivi, un ammontare di esposizioni scadute, in inglese “past due”, che superi contemporaneamente due soglie: una “assoluta”, di 500€ per le imprese e di 100€ per i privati, e un’altra “relativa”, pari all’1% delle esposizioni complessive verso il soggetto stesso. La nuova disciplina considera la rilevanza del default a livello di gruppo bancario e la propagazione dei suoi effetti anche ai soggetti collegati ovvero connessi economicamente e giuridicamente. Infine, essa introduce criteri particolarmente stringenti per il rientro in bonis dell’esposizione deteriorata.
Va sicuramente apprezzato l’intento dell’EBA di armonizzare a livello europeo la normativa sui crediti deteriorati al fine di evitare distorsioni competitive.

Tuttavia, le nuove regole sono state pensate in un contesto macroeconomico differente, pre-pandemia, per cui la loro introduzione avrebbe dovuto essere quanto meno rinviata alla fine dell’emergenza sanitaria.

Inoltre, la nuova DoD, come ho avuto modo di evidenziare in precedenza, non discrimina adeguatamente le esposizioni connesse a debiti di natura commerciale rispetto alle esposizioni relative a debiti di natura finanziaria. La sostanziale parificazione di tali passività ai fini della determinazione del default determina numerose implicazioni per gli operatori del settore del factoring. In particolare, la nuova disciplina può impattare significativamente sullo status creditizio del debitore, generando un “downgrading” anche in assenza di effettive insolvenze.
Ritardi di pagamento, anche molto contenuti ma ripetuti, sulle fatture acquistate pro soluto dal Factor, comportano la classificazione a default dell’intera esposizione del gruppo bancario verso quel debitore.

Il carattere rotativo dell’operazione di factoring può portare, infatti, a un continuo superamento delle soglie, anche in presenza di pagamenti integrali delle fatture scadute, ove le nuove fatture tendano a presentare a loro volta ritardi minimi.

In assenza di segnali dai Regolatori per un’opportuna modifica della normativa, gli operatori del factoring hanno intensificato i colloqui con i debitori ceduti, per intervenire tempestivamente sugli scaduti “tecnici” dovuti a ritardi nella riconciliazione dell’incasso e nella contabilizzazione, e hanno adeguato i propri sistemi informativi al fine di gestire in modo più rigoroso tali situazioni e di intercettare tempestivamente le eventuali contestazioni.
Nei prossimi mesi, come enfatizzato dall’EBA, occorrerà prestare particolare attenzione nell’individuazione di segnali anticipatori del default, poiché verranno a scadere le moratorie sui crediti concesse in fase di pandemia. Il settore ha peraltro dimostrato nel tempo la propria attitudine a gestire efficacemente i crediti e a contenere i rischi. Ebbene, tale capacità non viene in alcun modo riconosciuta dal Regolatore, con la conseguenza del passaggio a crediti deteriorati di un elevato numero di posizioni con “past due tecnici” che verranno erroneamente classificate come default.

Tale situazione potrebbe diventare ancor più esacerbata con l’applicazione del “calendar provisioning”, costituito da un insieme di norme che impongono l’automatica svalutazione delle attività deteriorate in funzione del tempo trascorso.

L’impatto stimato dagli Associati di Assifact risulta contenuto ma l’attenzione al riguardo è elevata, a causa dell’effetto combinato della nuova DoD e del calendar provisioning, che impone la svalutazione sino al 100% di porzioni rilevanti degli attivi delle società di factoring, in particolare nei confronti della pubblica amministrazione, notoriamente tardiva nei pagamenti ma, fino a prova contraria, non certo insolvente.


 

Un nuovo elemento che sta impattando e impatterà sempre di più sull’attività di factoring è senz’altro costituito dal processo di transizione ESG. Qual è il suo punto di vista a riguardo?

Le autorità europee e nazionali stanno emanando requisiti normativi e formulando piani d’azione per l’integrazione progressiva dei fattori ESG (Environmental, Social and Governance) nei modelli di business e nella gestione, valutazione e monitoraggio dei rischi da parte degli intermediari creditizi e finanziari, con la data obiettivo del 2025.  Anche i programmi di Next Generation EU e del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza richiedono una profonda riflessione da parte del nostro settore, al fine di valutare gli impatti ESG sul business e di definire alcune specifiche linee guida in grado di aiutare gli operatori nell’identificazione delle principali azioni di adeguamento necessarie per la transizione verso una finanza sostenibile. Assifact, con il supporto di PWC, ha da poco fatto partire uno specifico progetto al fine di fornire un contributo agli Associati che saranno pienamente coinvolti nei gruppi di lavoro.

Un primo passo verso la transizione è già stato fatto dall’Associazione, relativamente alla diversity, con la nomina di Ruxandra Valcu quale Vice Presidente: la dott.ssa Valcu è la prima donna a occupare una posizione di vertice da quando è stata creata l’Associazione.

Ciò detto, è inutile negare che la sfida che abbiamo davanti è ambiziosa, ma sono certo che il settore saprà cogliere le occasioni e le opportunità di cambiamento per affiancare le imprese nel processo di ripresa, innovazione, digitalizzazione e transizione ecologica.


 

Alla luce delle sfide che gli operatori del factoring dovranno affrontare nel prossimo futuro, quali sono le attese per il mercato in Italia e, più in generale, in Europa?

Innanzi tutto, è importante sottolineare che, finalmente, nonostante un primo trimestre ancora negativo, per il 2021 si scorge la luce in fondo al tunnel. Gli indicatori congiunturali segnalano un rimbalzo significativo dell’attività economica, con il fatturato delle imprese industriali che migliora in tutti i settori. Secondo l’Istat, il fatturato dell’industria ad aprile 2021 cresce del 105% rispetto ad aprile 2020, quando ebbe inizio la fase recessiva per effetto del lockdown e della conseguente interruzione dell’attività di numerose imprese.  Pur nella consapevolezza che in quel momento il Paese si trovava nel periodo più cupo della crisi, la variazione positiva registrata è di ampiezza straordinaria. Nel trimestre febbraio-aprile tale indice è cresciuto con una media del 4,8% rispetto al trimestre precedente.

Con la ripresa del fatturato è cresciuto notevolmente il ricorso al factoring.  Nel mese di aprile 2021 il turnover è infatti aumentato del 36% sullo stesso mese del 2020, e a maggio 2021 tale aumento è stato ancora superiore, sfiorando il +50% rispetto al dato di maggio 2020. A fine maggio il dato cumulativo indica una crescita complessiva del 9.8% sul corrispondente periodo del 2020.  Le stime di Assifact prevedono una ripresa del turnover anche nel secondo semestre dell’anno, riportando i volumi complessivi al livello pre-pandemia, a dimostrazione che il factoring  continua a svolgere il proprio ruolo di “polmone” finanziario delle imprese sia nelle fasi di ciclo economico negativo sia nelle fasi di ripartenza dell’attività.

Ritengo che tale dinamica caratterizzi anche il mercato del factoring negli altri paesi europei, per cui sono fiducioso in un robusto recupero dei volumi intermediati dal settore. Come ampiamente dimostrato nel passato gli operatori del factoring sapranno affrontare le prossime sfide con competenza, determinazione e capacità di innovazione per continuare a dare il proprio contributo al rilancio dell’economia reale.