Factoring e concessione abusiva del credito

Di fronte a una situazione di crisi del finanziato ci si trova di fronte alla scelta se continuare a concedere credito in favore dell’imprenditore o interrompere il rapporto di concessione del credito. La posizione del finanziatore può trovarsi stretta fra l’incudine e il martello: “concessione abusiva di credito” o illecito per violazione del principio di esecuzione in buona fede del contratto?

La posizione del finanziatore, di fronte ad una situazione di crisi del finanziato, è stretta fra l’incudine e il martello: da una parte, ove conceda, o continui a concedere, incautamente credito in favore dell’imprenditore, si configurerebbe una condotta illecita, qualificata come “concessione abusiva di credito”; dall’altra, l’interruzione del rapporto di concessione del credito senza conclamati o quantomeno effettivi indicatori di perdita della continuità aziendale, rappresenterebbe un illecito (per violazione del principio di esecuzione in buona fede del contratto) in capo al finanziatore ai danni dell’impresa stessa, passibile di altrettante e immediate conseguenze risarcitorie.

In questa sede, ci limitiamo ad alcune osservazioni sulla prima ipotesi, data la grande attualità del tema; invero, è sufficiente leggere i repertori di giurisprudenza, per osservare come negli ultimi anni – forse per lo sfavore delle riforme in ambito fallimentare verso l’esercizio delle azioni revocatorie – le richieste di risarcimento danni per concessione abusiva di credito siano in aumento.

Un rilievo primario assume, accanto all’esecuzione diligente della prestazione professionale ex art. 1176 cod. civ., la disciplina primaria e secondaria di settore, che impone l’obbligo di rispettare i principi di così detta sana e corretta gestione, verificando, in particolare, il merito creditizio del cliente in forza di informazioni adeguate. Si è in presenza di una responsabilità precontrattuale ex art. 1337 cod. civ., se il finanziatore abbia contrattato senza il rispetto delle prescrizioni speciali e generali che ne debbono presiedere l’agire, dolosamente o colpevolmente, disattendendo gli obblighi di prudente ed accorto operatore professionale ed acconsentendo alla concessione di credito in favore di un soggetto destinato, in caso contrario, ad uscire dal mercato; invece, si entra nel campo della responsabilità contrattuale ex art. 1218 cod. civ. quando venga imputata al finanziatore la prosecuzione di un finanziamento in corso.

Sono ormai chiari i presupposti oggettivi perché sorga l’obbligo del risarcimento del danno in capo al finanziatore, ove – dalla erogazione del credito – ne discenda l’aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell’attività d’impresa: l’erogazione del credito è qualificabile come “abusiva” se effettuata, con dolo o colpa, ad impresa che si palesi in una situazione di difficoltà economico-finanziaria ed in mancanza di concrete prospettive di superamento della crisi ed integra un illecito del soggetto finanziatore (Cass., 30 giugno 2021, n. 18610; recentemente, nello stesso senso, v. Cass., 18 gennaio 2023, n. 1387, la quale conferma la legittimazione attiva del Curatore, ove si prospetti un’azione a vantaggio di tutti i creditori indistintamente).

Altrettanto chiaro, secondo quanto tratteggiato dalla Suprema Corte, è il profilo dell’onere della prova a carico del danneggiato: a) la condotta violativa delle regole che disciplinano l’attività bancaria, caratterizzata da dolo o almeno da colpa; b) il danno-evento, dato dalla prosecuzione dell’attività d’impresa in perdita; c) il danno-conseguenza, rappresentato dall’aumento del dissesto; d) il rapporto di causalità fra tali danni e la condotta tenuta. La necessità di definire ed accertare, con rigore, codesti elementi costitutivi deriva dal doveroso rispetto del punto di equilibrio tra opposti valori meritevoli di tutela, quali, da un lato, la posizione giuridica del finanziato e dei suoi creditori, e, dall’altro lato, la libertà contrattuale del finanziatore.

Dal punto di vista soggettivo, invece, può porsi il dubbio di chi sia il soggetto finanziatore (rectius, quale attività ponga in essere il finanziatore). In altri termini, la situazione di chi concede credito (i.e. la banca) sembra distinta da quella di chi acquista crediti dietro corrispettivo (i.e. il factor).
Certamente, entrambi sono soggetti qualificati, tenuti alle verifiche del merito creditizio; tuttavia, non sembra corretto affermare che il factor conceda credito tout court. Come noto, il factor eroga una pluralità di servizi al cedente, fra cui la gestione e l’amministrazione dei crediti, anche futuri.

D’altra parte, alla cessione di credito, operante nell’ambito del rapporto di factoring, è pacificamente riconosciuta, anche in giurisprudenza, la causa vendendi. Pertanto, l’eventuale addebito ad un factor di concessione abusiva del credito si scontrerebbe con l’obiezione dell’assenza di un qualsivoglia “fido” a monte, a favore del cedente, e con la natura stessa del rapporto di factoring. Ciò, sarà particolarmente evidente nelle operazioni pro soluto e in quelle IAS compliant, ove assume rilievo il trasferimento del rischio, e prevale la funzione di garanzia. Utile ricordare, invero, che il così detto plafond rappresenta, nel rapporto di factoring, il limite quantitativo dell’assunzione del rischio del mancato pagamento del debitore.

Vero è che, con riferimento al pagamento (anticipato) del corrispettivo, contestuale all’atto della cessione pro solvendo, non possa negarsi come la solutio configuri una anticipazione al fornitore, ai fini di assicurargli la necessaria liquidità: si esalta, così, la funzione di finanziamento. Ciononostante, rimangono dubbi, anche in questa ipotesi, sulla circostanza il pagamento di un corrispettivo possa configurare una “concessione di credito”: questa si ha quando è lo stesso soggetto finanziato a dover restituire il proprio debito, non quando il finanziato si limita, come nella cessione pro solvendo, a “garantire” il pagamento del terzo debitore (nella forma della restituzione di quanto ricevuto quale corrispettivo).

D’altra parte, volendo considerare la singola cessione di credito quale ipotesi di concessione di credito, dovrà porsi il dubbio se si tratti di una responsabilità precontrattuale del factor (conseguentemente, i danni risarcibili sarebbero riconducibili al cosiddetto “interesse negativo”), o piuttosto di una responsabilità contrattuale per la prosecuzione di un finanziamento in corso.

Mi sembra che alcuni indici “positivi”, ad ogni modo, depongano in favore di una distinzione fra l’attività del factor, per ciò che qui rileva, rispetto alla concessione di credito da parte di una banca.
Anzitutto, per il caso in cui il factor acquisti un credito e ne paghi il corrispettivo, conoscendo lo stato di insolvenza del cedente, è previsto il rimedio della dichiarazione di inefficacia della cessione stessa (art. 7, L. 21 febbraio 1991, n. 52). Che non si tratti di una revocatoria fallimentare in senso stretto (sebbene le due azioni presentino analogie), lo conferma la circostanza che codesta azione di inopponibilità si presenta come speciale rispetto alla revocatoria attualmente prevista dall’art. 166 CCII.

Dunque, oltre alle azioni che mirano alla tutela della par condicio creditorum, il factor è soggetto passivo della dichiarazione di inopponibilità ove agisca conoscendo lo stato di insolvenza della cedente. Che questa azione, possa cumularsi – sulla base di un presupposto comune – con quella di natura risarcitoria per concessione abusiva del credito, proposta (di solito) dalla società in default può dubitarsi, altrimenti si realizzerebbe una funzione punitiva dell’azione di risarcimento danni, sconosciuta al nostro ordinamento.

Inoltre, ben diversi sono i criteri di segnalazione in Centrale dei Rischi: il factoring, come noto, è considerato in nella categoria “rischi autoliquidanti” (Circ. Bankitalia n. 139, 11 febbraio 1991. 20° Aggiornamento), vale a dire operazioni caratterizzate da una fonte di rimborso predeterminata, che coinvolge un terzo soggetto (il debitore, la cui solvibilità è oggetto di altra valutazione del merito creditizio). Diverso è per le anticipazioni attive, le aperture di credito, i mutui, che costituiscono – in prima approssimazione – la concessione di credito in senso stretto: queste, infatti, rientrano nella categoria dei “rischi a scadenza”.

Certamente queste ultime segnalazioni in Centrale dei Rischi, fra le quali rientrano gli “anticipi su crediti futuri connessi con operazioni di factoring” – se effettuate in favore di soggetti in crisi, già al momento della cessione, non a quello della venuta ad esistenza del credito – possono colpevolmente ingenerare nei terzi la convinzione che il soggetto finanziato sia solvibile, inducendoli così ad iniziare o proseguire rapporti commerciali con quest’ultimo. D’altra parte, sovente il factor non predetermina il fido (o, comunque, non lo comunica al finanziato), sicchè – secondo le indicazioni della citata Circolare – nelle classi di dati di accordato “deve essere indicato un importo pari a quello dell’utilizzato”.

Da ultimo, a evidenziare la peculiarità del factoring quale rapporto non necessariamente “creditizio”, segnalo, in tema di mediazione obbligatoria, che tra le materie previste dall’art. 5, d.lgs. n. 28/2010, vi rientrano i “contratti assicurativi, bancari e finanziari”: la giurisprudenza sembra escludere che le controversie nascenti da rapporti di factoring – a differenza di quelle dalle concessioni di credito – siano soggette al previo esperimento di una procedura conciliativa, a pena di improcedibilità della domanda (per l’inapplicabilità della disciplina sulla mediazione obbligatoria ai contratti “con finalità di finanziamento anche in chiave mista”, Cass., 12 giugno 2018, n. 15200).

Alcune considerazioni conclusive possono essere utili: per verificare la ammissibilità di una richiesta di risarcimento danni per concessione abusiva di credito da parte del factor – oltre a verificare la sussistenza degli altri presupposti, e in particolare il nesso di causalità e quello relativo alla quantificazione del danno, non potendosi questo identificare tout court questo con l’aggravamento delle perdite favorite dalla continuazione dell’attività d’impresa – occorre verificare la concreta operatività del rapporto.

Il factor potrà essere considerato un finanziatore abusivo, invero, nelle ipotesi in cui abbia effettivamente “concesso credito” all’impresa cedente, vale a dire laddove nel negozio di cessione del credito non sia prevalente la causa vendendi; a titolo d’ esempio, l’attività di concessione di credito potrebbe essere ravvista nella erogazione di anticipi su crediti futuri prima che questi vengano a esistenza, ma sembra più difficile configurarla nelle ipotesi di rischio autoliquidante in senso stretto ove, oltre ad una fonte di rimborso esterna al rapporto, la funzione di scambio caratterizza l’operazione.