Less is more: vale anche per il factoring?
Qualche mese fa è stato pubblicato il Rapporto Less is More, frutto del lavoro di un gruppo di esperti di diversi Paesi e istituzioni europee, indirizzato a proporre riflessioni e soluzioni per migliorare le regole nel settore dei servizi finanziari. Il Rapporto si concentra sulla semplificazione del processo di formazione del quadro normativo, con proposte volte a stabilizzare e semplificare le norme; migliorare la consultazione e la trasparenza dei testi applicativi; rivedere i regolamenti istitutivi delle autorità di vigilanza europee e rafforzare il controllo delle misure di attuazione

Si tratta di un documento particolarmente approfondito e di alto contenuto tecnico, destinato agli addetti ai lavori e agli attori chiave e studiosi della regolamentazione e supervisione del sistema finanziario, che presenta anche spunti di grande interesse per gli operatori.
Alla base del rapporto vi è, in estrema sintesi, la convinzione, piuttosto condivisa anche presso i practitioner, che l’attuale corpo delle regole alla base del funzionamento dei sistemi finanziari vada semplificato e che le consultazioni degli stakeholder possano essere migliorate, con l’obiettivo di migliorare la competitività del sistema finanziario europeo e, si potrebbe aggiungere, di assicurare i maggiori benefici possibili per gli “utilizzatori finali”, rappresentati da famiglie, imprese e pubbliche amministrazioni. Non si tratta quindi di deregolamentare, ma di semplificare e migliorare il set disponibile di norme, regole, organizzazione e modalità attuative dei controlli.
Solo qualche cenno su alcune considerazioni alla base delle proposte contenute nel Rapporto e sulle reazioni suscitate dal documento nel sistema finanziario italiano, senza pretesa alcuna di sistematicità ma solo a titolo di esempio.
Il rapporto evidenzia una “normative inflation”, misurabile con il raddoppio approssimativo di tutti gli indicatori (numero proposte, numero pagine, ecc.) nell’ultimo mandato legislativo europeo, ma soprattutto mette in rilievo che per avere, in sede di approvazione, maggiore consenso politico alle proposte legislative, i testi appaiono sovente confusi e imprecisi, richiedendo appunto precisazioni e messe a fuoco successive da parte delle autorità di vigilanza e nell’ambito della cosiddetta soft law (raccomandazioni, linee guida, Q&A, ecc), che, apparentemente non vincolanti, lo diventano di fatto.
Ciò comporta un sostanziale “passaggio di potere” a livello di autorità, con ricadute non sempre positive sulla trasparenza e sul dibattito politico e dunque rispetto alle esigenze degli stakeholder. Si alimenta così complessità e incertezza, certamente contrarie alle buone intenzioni dei policy maker, che alla fine nuocciono agli operatori.
Nel caso del sistema creditizio italiano, recentemente sollecitato sul tema da Banca d’Italia, particolarmente attenta alle esigenze degli operatori, esistono numerose semplificazioni possibili e chiarimenti necessari. Essi riguardano, ad esempio, gli adempimenti CRR (due diligence su rating esterni, valutazioni immobiliari, esposizioni in equity), i rapporti, resoconti e esercizi di vigilanza, le segnalazioni in tema di rischi di liquidità e rischi di tasso di interesse, la razionalizzazione del quadro prudenziale, il coordinamento delle norme in tema di valutazione del merito di credito e protezione dei dati personali, la necessità di chiarimento delle responsabilità della banca in caso di truffe e frodi che interessano la clientela, le cartolarizzazioni, l’accesso ai dati finanziari (FIDA), gli ambiti IT e innovazione, come segnalato da ABI.
Per le banche di minori dimensioni, secondo Federcasse, assumono particolare rilievo i temi connessi ai metodi proporzionati di diversificazione al dettaglio, ai rischi ESG, al Data hub per il terzo pilastro, alle linee guida SREP, al trattamento prudenziale dei fattori ambientali e sociali.
La declinazione della proporzionalità continua ad essere un tema aperto in vari ambiti e a tutto ciò si aggiunge nuova incertezza relativamente agli adempimenti ESG, anche a seguito dell’indirizzo preso con il pacchetto Omnibus, al centro dell’attenzione dell’Associazione tra le banche popolari e di PRIBANKS, l’associazione delle banche private, la quale sottolinea inoltre il tema della ponderazione delle esposizioni verso lo Stato centrale e gli enti del settore sanitario, che in particolare non risulta armonizzata tra i vari paesi.
E il factoring? Con riferimento in particolare alla definizione di default, l’industria del factoring ritiene che la semplificazione normativa possa svolgere un ruolo di rilievo per assicurare il level playing field in Europa, conseguendo una regolamentazione secondaria proporzionale e sensibile al rischio effettivo, attraverso un approccio uniforme e integrato alla gestione dei rischi di credito basato sulla durata effettiva.
Ciò al fine di evitare un indesiderato goldplating, soprattutto a livello nazionale, attraverso ponderazioni e classificazioni a default coerenti con lo standing creditizio del debitore, conseguite impostando meccanismi di calcolo dei giorni di scaduto coerenti con il framework complessivo e le buone pratiche dell’industria, che ha dimostrato nel tempo, dati sui crediti deteriorati alla mano, di saper gestire il rischio di credito in modo efficace.
Alcuni risultati sono in via di conseguimento. Il problema della classificazione a default di imprese corporate con rating creditizio elevato può trovare soluzione nella estensione dello scaduto tecnico da 30 a 90 giorni, per consentire al factor di intercettare eventuali ritardi dovuti a situazioni commerciali (rischio di dilution). Si tratta di un fronte già condiviso con EBA, con il supporto importante di Banca d’Italia. Tra i problemi ancora aperti il caso dei crediti commerciali acquistati verso enti pubblici, che in base all’orientamento normativo attuale comporta una classificazione a default di enti e amministrazioni pubbliche, in particolare enti locali ed enti del settore sanitario. Anche in questo caso esiste una soluzione, ancora in discussione a livello europeo e nazionale, che va proprio nella direzione di una semplificazione: avviare il conteggio dei giorni di scaduto dalla scadenza contrattuale condivisa con il cliente facendo leva sulla nuova definizione di obbligazione creditizia introdotta nel CRR3, che collega «l’obbligazione creditizia» al contratto di credito (sottoscritto con il cedente). I rischi dell’attuale impostazione, le cui criticità sono state segnalate anche da ABI e PRIBANKS, non vanno sottovalutati. Essi riguardano l’intero sistema paese con impatti negativi sulla disponibilità e il costo del credito per le imprese e sull’immagine della PA italiana che risulterebbe in buona parte a default. Anche nel factoring dunque “Less is More”, a beneficio della nostra economia.