Il silenzio del debitore ceduto non basta: Cassazione chiarisce i limiti
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19435/2025, ha escluso la responsabilità del debitore ceduto per non aver comunicato l’inesistenza del credito ceduto, ribadendo che il silenzio non viola i principi di buona fede e correttezza. La cessione del credito non comporta obblighi informativi a carico del debitore, salvo condotte attive o omissive che inducano il cessionario in errore. In tal caso, può sorgere una responsabilità risarcitoria.

Sull’ultimo numero dell’Osservatorio della giurisprudenza in materia di factoring, che lo Studio Legale Munari & Partners realizzata in collaborazione con Assifact, proponiamo l’analisi di una recente pronuncia della Corte di Cassazione: Sez. III Civile, sent. n. 19435/2025 del 15 luglio 2025.
La decisione affronta un tema di particolare rilievo per gli operatori del settore: la responsabilità del debitore ceduto per la mancata comunicazione dell’inesistenza dei crediti oggetto di cessione.
Attraverso la ricostruzione e il commento del caso concreto, viene chiarito l’orientamento della Suprema Corte in merito all’assenza di un obbligo informativo in capo al debitore ceduto, salvo specifici comportamenti attivi o omissivi idonei a generare affidamento nel cessionario.
Il caso
Nel caso in esame, la Banca – cessionaria di presunti crediti vantati dalla società che chiameremo Lambda in bonis nei confronti della società che chiameremo Alfa – aveva agito in giudizio contro quest’ultima, in qualità di debitore ceduto, chiedendo il risarcimento del danno per non aver segnalato l’inesistenza dei crediti oggetto di cessione.
La Banca riteneva che tale condotta omissiva di Alfa fosse causa di risarcimento del danno per responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c., e il danno fosse da quantificarsi per l‘intero ammontare dei crediti ceduti.
Il Tribunale accoglieva la domanda della Banca con condanna di Alfa al pagamento del risarcimento del danno.
Alfa impugnava la sentenza innanzi alla Corte di Appello di Salerno.
La Corte, accertata la falsità delle fatture emesse dalla Lambda in bonis nei confronti di Alfa, successivamente anticipate dalla banca sul conto anticipazioni fatture – ed escluso il concorso doloso di Alfa nella condotta fraudolenta posta in essere dalla Lambda – confermava la sentenza di primo grado per “violazione” da parte di Alfa “del generale dovere di correttezza, buona fede, e solidarietà, che rende la condotta omissiva espressione di responsabilità per colpa, giustificante la risarcibilità del danno”.
Anche per il Giudice del Gravame, Alfa venuta a conoscenza della cessione, doveva informare la Banca della inesistenza dei crediti ceduti, astenendosi quindi dal restare inerte.
Il giudice d’appello ritenendo però che con l’illecito omissivo della Alfa concorresse il fatto, egualmente colposo, della banca, la quale aveva omesso di effettuare la “tempestiva e preventiva verifica dei dati contabili riferiti alle fatture, anche in relazione al mancato buon esito di alcune di esse”, in parziale accoglimento dell’appello proposto da Alfa, condannava quest’ultima a pagare alla Banca un importo risarcitorio per la metà.
Alfa impugnava la decisione della Corte di Appello innanzi alla Suprema Corte denunciando l’illegittimità del provvedimento impugnato sulla scorta di due motivi.
Più precisamente: con il primo motivo lamentava che il Giudice di Appello avesse erroneamente ritenuta responsabile Alfa a titolo di colpa per avere omesso di segnalare la falsità delle fatture per inesistenza delle operazioni commerciali sottostanti, individuando in tale omissione la violazione di un dovere generico di buona fede e solidarietà, la cui violazione concreterebbe un’ipotesi di illecito aquiliano; con il secondo motivo censurava la sentenza per aver omesso di tener conto che “alcune anticipazioni da parte della Banca erano avvenute quando ancora Alfa non aveva ricevuto notizia delle cessioni e/o prima che avesse avuto il tempo materiale per verificare l’inesistenza dei crediti ceduti”, con evidente rideterminazione dell’entità del presunto danno lamentato dalla Banca.
Si costituiva in giudizio Beta con ricorso incidentale, denunciando che la sentenza di appello fosse illegittima laddove aveva riconosciuto il concorso di colpa della Banca in assenza di documentazione a supporto.
Esaminati i motivi di ricorso, la Corte di Cassazione, ribadito il principio di diritto secondo cui ”l’accettazione della cessione da parte del debitore ceduto non costituisce ricognizione tacita del debito, trattandosi di una dichiarazione di scienza priva di contenuto negoziale, sicché il ceduto non viola il principio di buona fede nei confronti del cessionario, se non contesta il credito, pur se edotto della cessione, né il suo silenzio può costituire conferma di esso, perché, per assumere tale significato, occorre un’intesa tra le parti negoziali cui il ceduto è estraneo (Cass. 18/02/2016, n. 3184)” e precisato che “la responsabilità del terzo per lesione della libertà negoziale è stata riconosciuta nell’ipotesi in cui il terzo abbia fornito informazioni errate che hanno avuto un effetto determinante nella stipulazione di un contratto che altrimenti non sarebbe stato concluso (cfr. già Cass. 4/05/1982, n. 2765)”, accoglieva il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo motivo ed il motivo di ricorso incidentale.
La responsabilità di Alfa era quindi da escludersi, anche per non aver assunto alcuna condotta rilevante ex art. 2043 cod. civ., avendo avuto una condotta meramente omissiva e non avendo concorso, neppure a titolo di colpa, con l’azione ingannevole di Lambda.
La Corte cassava la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigettava la domanda proposta dalla Banca nei confronti della Alfa, compensando integralmente le spese di lite.
Il commento
La cessione del credito, come noto, si atteggia a contratto bilaterale, tra cedente e cessionario[1] e si perfeziona con la manifestazione del consenso fra le parti[2].
L’art. 1264, primo comma, c.c., stabilisce che la cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l’ha accettata o quando gli è stata notificata, per cui il debitore – dal momento in cui ha accettato o dal momento in cui la cessione gli è stata notificata – è tenuto ad adempiere al cessionario (suo nuovo creditore) e non al cedente (suo precedente creditore).
Secondo la giurisprudenza[3], la notificazione e l’accettazione hanno la medesima valenza giuridica, ossia quella di informare il debitore, estraneo al rapporto di cessione, del mutamento del titolare del credito e quindi del soggetto cui spetta la pretesa di ricevere l’adempimento.
Gli atti contemplati nell’art. 1264, primo comma, c.c., sono necessari ai soli fini di escludere l’efficacia liberatoria del pagamento fatto al creditore cedente anziché al cessionario.
La questione dibattuta è allora se il debitore ceduto (di per sé estraneo al contratto di cessione) abbia o meno un obbligo di informare il creditore sulla speciale natura del credito ceduto e delle eventuali ragioni di insussistenza del credito stesso.
Parte della dottrina ritiene che il debitore ceduto in virtù dei principi di buona fede e correttezza sia tenuto, per il solo fatto dell’accettazione e/o della notifica della cessione, ad informare il factor autonomamente, in quanto attuale o futuro titolare della posizione creditoria, anche prescindendo da specifiche previsioni contrattuali e dalle diverse ipotesi che non vi siano atteggiamenti di collusione tra cedente e ceduto ai danni del factor[4].
E invece, è orientamento prevalente in seno alla giurisprudenza di legittimità che il debitore ceduto non possa essere ritenuto responsabile nei confronti del factor, laddove ometta di contestare (anche) al cessionario l’esistenza del credito quando riceve notizie della cessione.
La Cassazione configura l’accettazione (eventuale e non necessaria) del debitore ceduto quale dichiarazione di scienza priva di contenuto negoziale, che non ha in alcun modo valenza ricognitiva[5].
Il debitore ceduto non viola il principio di buona fede nei confronti del cessionario se non contesta il credito[6], né il suo silenzio può costituire conferma di esso[7].
Per la Suprema Corte la cessione del credito in nessun caso può quindi comportare un aggravamento della posizione del debitore ceduto[8].
Tale principio viene ribadito anche dalla pronuncia in commento, laddove la Suprema Corte, ribadisce che va negato ogni tipo di responsabilità del debitore ceduto per la mancata comunicazione dell’inesistenza del credito, atteso che la notifica dell’avvenuta cessione non ingenera, a suo carico, alcun obbligo d’informazione, neppure in forza del principio di buona fede e correttezza.
È dunque onere del cessionario, innanzi al silenzio del debitore, di verificare l’esistenza e l’esigibilità del credito ceduto, tanto più nell’ipotesi in cui il cessionario sia un operatore professionale.
La Corte ha però precisato che, qualora il debitore ceduto prima del perfezionamento della cessione assuma dei comportamenti, attivi o omissivi, idonei a rappresentare al cessionario l’esistenza del cedendo credito, tali comportamenti non sono esenti da censura e dunque sono fonte di responsabilità risarcitoria, prevalendo la tutela dell’affidamento legittimo del cessionario rispetto a quella di non aggravamento della posizione del debitore ceduto.
La Corte ha quindi affermato, in continuità con il proprio orientamento sul punto[9], che il cessionario può, invece, pretendere di essere risarcito dal detto debitore ceduto ove questi abbia assunto un comportamento idoneo a spingere il factor nell’acquisto di un credito inesistente.
In buona sostanza, il debitore ceduto che con i suoi comportamenti, attivi o omissivi, abbia leso la sfera giuridica del cessionario del credito per averlo influenzato nell’acquisto o anticipazione di un credito inesigibile è tenuto al risarcimento del danno.
[1] Cfr. Bianca, Diritto civile, 4, Milano, 1993; Dolmetta, Cessione dei crediti, in Dig. Civ., Torino, 1988; Mancini, La cessione dei crediti futuri, in Trattato diritto privato, a cura di Rescigno, Torino, 1984; Miccio, Delle obbligazioni in generale, in Commentario del cod. civ., Torino, 2016; In giurisprudenza: cfr. Cass. civ., 26 aprile 2004, n. 7919, in Giust. civ. Mass., 2004, 4; Cass. civ., 17 marzo 1995, n. 3099, in Rep. Foro It., 1995; Cass. civ., 15 novembre 1984, n. 5786, in Foro It., 1984.
[2] Sulla rilevanza del consenso traslativo cfr. Galgano, in Dir. civ e comm., II, I, Padova, 2004, 128; Gazzoni, Manuale diritto privato, Napoli, 2011. In giurisprudenza: cfr. Cass. civ, 13 luglio 2011, n. 15364, in Giust. civ. Mass., 2011, 1200.
[3] Cfr. Cass. civ., 18 dicembre 2007, n. 26664, in Notariato, 2009, 30: “in tema di cessione del credito da un contratto di appalto, l’accettazione della cessione da parte del debitore è dichiarazione di scienza priva di contenuto e non vale in sé quale ricognizione tacita del debito. Né tale valenza può desumersi dal silenzio del debitore stesso sulla natura del credito ceduto o dalla mancata informativa al cessionario sulle ragioni della contestazione del credito, in quanto l’obbligo di diligenza ex 1176 è imposto al debitore solo nell’adempimento della prestazione e non può essere esteso sino ad includere l’informazione dettagliata delle ragioni del rifiuto di adempiere”; Cass. civ., 6 agosto 1999, n. 8485, in Giust. civ. Mass., 1999, 1781: “è una semplice presa di conoscenza della cessione del credito – una mera dichiarazione di scienza – che solo in taluni casi, diversi da quello di specie (come in quello di incedibilità convenzionale del credito o di eccezione di compensazione) può assumere un particolare rilievo negoziale o risolversi in un riconoscimento del debito”.
[4] Piccinini, Il comportamento del debitore ceduto nel factoring, in Giust. civ., 2001, II, 44.
[5] Cfr. Cass. civ., 18 dicembre 2007, n. 26664, in Notariato, 2009, 30: “in tema di cessione del credito da un contratto di appalto, l’accettazione della cessione da parte del debitore è dichiarazione di scienza priva di contenuto e non vale in sé quale ricognizione tacita del debito. Né tale valenza può desumersi dal silenzio del debitore stesso sulla natura del credito ceduto o dalla mancata informativa al cessionario sulle ragioni della contestazione del credito, in quanto l’obbligo di diligenza ex 1176 è imposto al debitore solo nell’adempimento della prestazione e non può essere esteso sino ad includere l’informazione dettagliata delle ragioni del rifiuto di adempiere”; Cass. civ., 6 agosto 1999, n. 8485, in Giust. civ. Mass., 1999, 1781: “è una semplice presa di conoscenza della cessione del credito – una mera dichiarazione di scienza – che solo in taluni casi, diversi da quello di specie (come in quello di incedibilità convenzionale del credito o di eccezione di compensazione) può assumere un particolare rilievo negoziale o risolversi in un riconoscimento del debito”; Cass. civ., 18 febbraio 2016, n. 3184, in Giur. It., 10, 2017: “L’accettazione della cessione del credito da parte del debitore ceduto è dichiarazione di scienza e non assume la natura di ricognizione del debito, né tale natura può desumersi dal silenzio del debitore atteso che l’obbligo di diligenza del debitore di cui all’art. 1176 c.c. è imposto solo nell’adempimento della prestazione, mentre non può essere esteso sino ad includere l’informazione dettagliata delle ragioni del rifiuto di adempiere”. Sul tema, vedi anche Corte di Appello di Milano, 31 dicembre 2019, n. 5245, anche su questo Osservatorio, n. 1/2020, 3.
[6] Benatti, Le dichiarazioni del debitore ceduto nel contratto di factoring, in Munari (a cura di), Sviluppi e nuove prospettive della disciplina del leasing e del factoring in Italia, Milano, 1988, 103.
Cfr. Cass. civ., 15 ottobre 2009, n. 21904, in CED Cassazione 2009: mancherebbe – secondo la Suprema Corte – il nesso di causalità tra l’omissione del debitore ceduto e il danno derivante dall’accreditamento del factor delle anticipazioni a favore del cedente, senza procedere ad informarsi autonomamente circa l’effettiva esistenza del credito. Cfr. anche Cass. civ., 15 giugno 1999, n. 5947, in Contr., 2000, 39, in Giust. civ., 2000, I, 2067, e in Banca borsa tit. cred., 2000, II, 660 ove è ribadita la terzietà del debitore, rispetto al rapporto di factoring, anche nelle ipotesi di «riserva» dello stesso di verificare l’esistenza e la consistenza del credito: non sussiste alcuna obbligazione di comportamento del ceduto nei confronti del cessionario. Pertanto, in difetto di tale doverosità di comportamento, il factor non può accontentarsi di una mancata contestazione ma deve intraprendere una condotta attiva per richiedere chiarimenti e risposte positive alle parti titolari del rapporto ceduto.
[7] Cass. civ., 18 febbraio 2007, n. 26664, cit. secondo cui “nessuna responsabilità può derivare al debitore ceduto per il silenzio sulla esistenza di crediti ceduti, perché´, risolvendosi in un comportamento difforme da quello che l’altra parte avrebbe dovuto attendersi, secondo la prassi, tale silenzio non può assumere il significato positivo di conferma dei crediti ceduti ma semmai il significato contrario, alla stregua del generale principio secondo cui il silenzio, nei rapporti negoziali, può assumere il significato di implicita comunicazione di situazioni rilevanti solo quando sia in tal senso percepibile da entrambe le parti. Con la conseguenza che un silenzio che non dice nulla non può determinare alcuna situazione di apparente regolarità delle forniture e di esistenza dei crediti ceduti, cui possa ricollegarsi l’affidamento del cessionario”.
[8] Cass. civ, 18 ottobre 1994, n. 8497, in Contr., 1995, 23, con nota di de Nova, Gli obblighi di informazione del debitore ceduto nel factoring, precisa Cass. civ, 18 dicembre 2007, n. 26664, in Notariato, 2009, 30, con nota di Marino, Cessione del credito futuro e obblighi d’informazione del debitore ceduto; e sintesi in Obbl. e contr., 2008, 101, per la quale, in caso di cessione di un credito futuro, il nuovo creditore ha la facoltà di procurarsi dal cedente tutte le informazioni sull’esistenza del credito contestato che, fino a quel momento, il vecchio creditore non gli aveva fornito del credito, mentre non ha diritto di pretenderle dal debitore ceduto. Per ulteriori riferimenti giurisprudenziali, v. Macario, Trasferimento del credito futuro ed efficacia verso i terzi: lo «stato dell’arte» di giudicare, in Riv. dir. privato, 2000, 437.
[9] Cass. civ., Sez. III, 15 giugno 1999, n. 5947, cit. secondo cui, relativamente al factoring, deve ravvisarsi, in linea di principio, che una responsabilità del debitore ceduto è riconoscibile allorché lo stesso debitore ceduto abbia reso dichiarazioni inerenti all’esistenza del credito in sede di accettazione della cessione, in quanto tali dichiarazioni impegnano il dichiarante e sono tali da escludere a priori l’onere del factor di indagare diligentemente sull’esistenza del credito che gli sarà ceduto in forza del contratto di factoring o quando il debitore con circostanze di fatto univoche abbia generato l’affidamento riguardo all’esistenza del debito nel factor. In tali ipotesi sarebbe quindi identificabile una violazione degli obblighi di correttezza e buona fede.